- San Paolo nella Lettera ai Romani descrive l'esperienza secondo cui noi spesso vediamo il bene che dovremmo fare, eppure facciamo il male che non vorremmo:
Rm 7, 15-21:
"15 Perché io non approvo quello che faccio; poiché non faccio quel che voglio, ma faccio quello che odio. 16 Ora, se faccio quello che non voglio, io ammetto che la legge è buona; 17 e allora non son più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. 18 Difatti, io so che in me, vale a dire nella mia carne, non abita alcun bene; poiché ben trovasi in me il volere, ma il modo di compiere il bene, no. 19 Perché il bene che voglio, non lo fo; ma il male che non voglio, quello fo. 20 Ora, se ciò che non voglio è quello che fo, non son più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. 21 Io mi trovo dunque sotto questa legge: che volendo io fare il bene, il male si trova in me."
- Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona, fa la distinzione tra 'libertas' (capacità di scegliere tra bene e male e di compiere il bene) e 'liberum arbitrium' (capacità di scegliere tra bene e male) e afferma che dopo il peccato originale l'uomo ha perso la 'libertas', ma non il 'liberum arbitrium'. L'uomo ha, pertanto, ancora la capacità di scegliere tra bene e male, ma per poter compiere il bene ora ha bisogno necessariamente della grazia di Dio.
"Confessioni", Libro Secondo, Capitolo IV:
"La legge tua, Signore, punisce, senza discussione, il furto: lo punisce anche la legge scritta nel cuore degli uomini che nemmeno l'iniquità cancella: nessun ladro infatti sopporta con indifferenza di essere derubato: neanche il ricco da chi è spinto dal bisogno. Ebbene, io volli commettere un furto, e lo feci non costretto da indigenza, ma da mancanza e da intolleranza del senso di giustizia, dall'esuberanza del malvolere. Ciò che rubai, io lo avevo largamente, di qualità molto migliore; nè volevo godere di quello a cui tendeva il furto, ma proprio del furto e del peccato. Contiguo al nostro podere era un pero carico di frutti, non allettanti affatto nè per bellezza nè per sapore. Dopo aver protratto il gioco, secondo la nostra pessima usanza, fino a tarda ora nelle piazze, nel cuor della notte la triste combriccola di noi ragazzacci si recò a scuotere quell'albero e a depredarlo: e ne portammo via un gran carico, non per mangiare a sazietà, se pure ne assaggiammo, ma per darne in pasto persino ai maiali: nostro unico piacere fu quello di fare ciò che non era lecito, perchè ciò ci piaceva.
"Confessioni", Libro Secondo, Capitolo IV:
"La legge tua, Signore, punisce, senza discussione, il furto: lo punisce anche la legge scritta nel cuore degli uomini che nemmeno l'iniquità cancella: nessun ladro infatti sopporta con indifferenza di essere derubato: neanche il ricco da chi è spinto dal bisogno. Ebbene, io volli commettere un furto, e lo feci non costretto da indigenza, ma da mancanza e da intolleranza del senso di giustizia, dall'esuberanza del malvolere. Ciò che rubai, io lo avevo largamente, di qualità molto migliore; nè volevo godere di quello a cui tendeva il furto, ma proprio del furto e del peccato. Contiguo al nostro podere era un pero carico di frutti, non allettanti affatto nè per bellezza nè per sapore. Dopo aver protratto il gioco, secondo la nostra pessima usanza, fino a tarda ora nelle piazze, nel cuor della notte la triste combriccola di noi ragazzacci si recò a scuotere quell'albero e a depredarlo: e ne portammo via un gran carico, non per mangiare a sazietà, se pure ne assaggiammo, ma per darne in pasto persino ai maiali: nostro unico piacere fu quello di fare ciò che non era lecito, perchè ciò ci piaceva.
"Contra duas epistolas Pelagianorum", I, 2,5:
"Chi di noi, d'altronde, oserebbe affermare che, per il peccato del primo uomo, il libero arbitrio è scomparso dal genere umano? E' vero che la libertà è perita per il peccato, ma soltanto quella che esisteva in paradiso, e cioè quella di possedere, con l'immortalità, la pienezza della giustizia"
"De natura et gratia", 66,79:
"Perciò la natura umana ha bisogno della grazia divina. [...] ...pertanto con l'aiuto della grazia per Gesù Cristo nostro Signore otterremo due risultati: e sarà rimossa la malvagia necessità e sarà concessa la completa libertà."
> "Canone 2 (sul battesimo dei bambini" del Concilio di Cartagine (418):
" Chiunque nega che si debbano battezzare i bambini in tempo attiguo al parto, o dice che essi vengono sì battezzati per la remissione dei peccati, ma non si traggono affatto dietro da Adamo il peccato originale che viene espiato dal lavacro della rigenerazione, da cui consegue che nel loro caso la forma del battesimo 'in remissione dei peccati' viene compresa non come vera, ma come falsa, sia anàtema."
Sulla giustificazione del peccatore e la grazia di Dio:
Sulla giustificazione del peccatore e la grazia di Dio:
- Martin Lutero (1483-1546) nel 1532 racconta con queste parole "l'esperienza della torre" che egli ha avuto nel castello di Wartburg tra la fine del 1512 e l'inizio del 1514, nella quale egli fece la grande scoperta della 'giustificazione del peccatore' e della grazia di Dio:
"Le parole 'giusto' e 'giustizia di Dio' ebbero sulla mia coscienza l'effetto di un fulmine; quando le ascoltavo, mi atterrivo: se Dio è giusto, allora deve punire. Ma quando una volta meditai, in quella stanza della torre, sulle parole <<Il giusto vivrà in forza della fede>> (Rm 1,17) e <<giustizia di Dio>>, pensai immediatamente: se dobbiamo vivere come giusti secondo la fede e se la giustizia di Dio deve risolversi nella salvezza di ogni credente, allora non sarà per merito nostro, ma per la misericordia di Dio. Così il mio spirito fu rinfrancato, poichè la giustizia di Dio consiste nel ricevere la giustificazione ed essere redenti tramite Cristo. Ora quelle parole si sono trasformate per me in dolci parole. In questa torre lo Spirito Santo mi ha fatto comprendere il senso della Scrittura."
- Il Concilio di Trento (1545-1563) risponde a Lutero con il Decreto sulla giustificazione (Sessione VI - 13 gennaio 1547), nel quale si afferma che tale giustificazione non è forense (nella quale, cioè, il peccatore viene 'dichiarato' giusto da Dio, ma l'uomo rimane dopo di essa 'simul iustus et peccator'), ma effettiva (in quanto tale giustificazione trasforma la natura dell'uomo e la santifica). La giustificazione - secondo Trento - non 'dichiara' l'uomo giusto, ma lo 'fa' giusto:
"Unica formalis causa est iustitia Dei,
non qua ipse iustus est,
sed qua nos iustos facit"
["Unica causa formale (della giustificazione) è la giustizia di Dio,
non quella per cui egli stesso è giusto,
ma quella per cui ci rende giusti"]
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