venerdì 30 marzo 2012

TERZE LICEO - Per un'etica della relazione. Genesi 2,18-24: l' "alterità costitutiva"


> Da K. Gibran, Il Profeta:

"<<Parlaci del matrimonio, maestro!>>.
E lui rispose dicendo:
<<Siete nati insieme e insieme sarete in eterno.
Sarete insieme quando le bianche ali della morte
disperderanno i vostri giorni.
Ah, sarete insieme anche nella silenziosa memoria di Dio.

Ma lasciate che vi sia spazio nel vostro essere insieme
e lasciate che i venti del paradiso danzino tra voi.
Amatevi l'un l'altro ma non fate dell'amore una catena:
lasciate piuttosto che vi sia un mare in movimento
tra i lidi delle vostre anime.

L'uno riempia il bicchiere dell'altro,
ma non bevete dalla stessa tazza.
L'uno dia il pane all'altro,
ma non mangiate dallo stesso filone.

Cantate, ballate insieme e siate gioiosi,
ma lasciate che ognuno sia solo:
anche le corde di un liuto sono sole
eppure fremono alla stessa musica.

Datevi i vostri cuori ma non per possederli
perchè solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.

State in piedi insieme, ma non troppo vicini
perchè le colonne del tempio stanno separate
e la quercia e il cipresso
non crescono l'una all'ombra dell'altro.>>"


Un testo interessante per continuare la riflessione... sull'amore, l'alterità, l'incontro...
     >da E. SALMANN, Passi e passaggi del Cristianesimo. Piccola mistagogia verso il mondo della fede, Ed. Cittadella, Assisi 2009, pag. 126-128:
       
        "Sarà sempre un Tu, una parola, un volto che si affacciano sulla scena della mia vita, qualcuno che si rivolge a me, irrompe nel mio ambito ben definito, mi assale e/o mi vuole bene. Appare come un dono, appello, turbamento... mi ruba il tempo, mi mozza il fiato, mi dona la sua presenza. Il Tu è un dono del cielo, mi conforta, mi apre nuovi orizzonti, ed è un altro che mi altera, mi oggettivizza, mi aliena da me stesso o mi promette un futuro nuovo. Donde gli viene la potenza e il diritto di intrufolarsi nelle mie vicende, perchè devo rispondergli, perchè l'ho tanto atteso e sono già apertura nei suoi confronti? Tu ti rivolgi a me, perchè io ti attraggo, incoraggio, prometto qualcosa. C'è un che, un non-so-che tra noi, una forza di attrazione reciproca, di responsabilità e corrispondenza. E, infatti, ci comprendiamo già prima delle parole che ci scambiamo; ogni dialogo si muove nell'alone di un 'noi' e vive di un anticipo di fiducia che avvolge i due interlocutori. L'in-contro è sempre l'evento di una grazia, di un 'framezzo' (in-) e di un confronto, di un faccia a faccia che implica una componente mistica (del dono, della comprensione reciproca, di sfericità) e un appello etico, è presenza e urto, un gioco serio fra promessa e responsabilità, solitudine (io devo rispondere e avere il coraggio di parlare) e comunanza. [...] Non c'è incontro senza rischio, perchè ognuno si abbandona all'altro senza che questi possa giustificare un tale salto; ci mettiamo a sua disposizione, affidiamo un pezzo della nostra identità nelle sue mani senza alcuna garanzia. L'altro può ingannarci, rispondere di no, o semplicemente risultare incapace di essere all'altezza della situazione. Ognuno deve, dunque, avventurarsi, superare la frontiera magica della sua zona di sicurezza, esporre il Santissimo della sua solitudine, correre il rischio di essere rifiutati, malintesi. Ogni incontro vive in questo ritmo tra l'abbandono, la morte e la parola e il gesto che mi risuscitano."



SECONDE LICEO - Il diavolo: mito o realtà?

> La Bestia dell'Apocalisse

            - Ap 13,1-18 -

"1 Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. 2 La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande. 3 Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.
Allora la terra intera presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia 4 e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?».
5 Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d'orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. 6 Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. 7 Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. 8 L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato.
9 Chi ha orecchi, ascolti:
10 Colui che deve andare in prigionia,
andrà in prigionia;
colui che deve essere ucciso di spada
di spada
sia ucciso.
In questo sta la costanza e la fede dei santi.
11 Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. 12 Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13 Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. 14 Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15 Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. 16 Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; 17 e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. 18 Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei."


giovedì 8 marzo 2012

PRIME LICEO - Il Buddhismo

- Le Quattro Nobili Verità:
   
    Dal discorso del Parco delle Gazzelle di Varanasi/Benares (Mahavagga I,6,17-22):
   
  
Così ho udito. Una volta il Beato soggiornava a Isipatana, presso Baranasi, nel parco delle gazzelle. Qui il Beato si rivolse al gruppo dei cinque asceti mendicanti.
"O monaci, coloro che hanno abbandonato la vita non devono indulgere ai due estremi. Quali sono questi due estremi? Un estremo è il dedicarsi al godimento dei piaceri sensuali: questo comportamento è infimo, villano, ignobile e vano. L'altro estremo è il dedicarsi alla mortificazione di se stessi: questo comportamento è doloroso, ignobile e vano.

Evitando questi due estremi, o monaci, il Tathagata ha realizzato il ' sentiero di mezzo ' che produce la visione e la conoscenza, e che guida alla calma, alla perfetta conoscenza, al perfetto risveglio, al nibbana.
E cos'è mai, o monaci, questo ' sentiero di mezzo ' realizzato da Tathagata che produce la visione e la conoscenza, e che guida alla calma, alla perfetta conoscenza, al perfetto risveglio, al nibbana? Esso è il nobile ottuplice sentiero, ovvero la retta visione, la retta intenzione, la retta parola, la retta azione, il retto modo di vivere, il retto sforzo, la retta presenza mentale e la retta concentrazione. Questo, o monaci, è il ' sentiero di mezzo ' realizzato dal Tathagata che produce la visione e la conoscenza, e che guida alla calma, alla perfette conoscenza, al perfetto risveglio, al nibbana.

Questa, o monaci, è la nobile verità del dolore (dukkha): la nascita è dolore, la vecchiezza è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l'unione con ciò che è discaro è dolore, la separazione da ciò che è caro è dolore, il non ottenere ciò che si desidera è dolore. In breve, i cinque aggregati (Khandha) che rappresentano la base dell'attaccamento all'esistenza, è dolore.

Questa, o monaci, è la nobile verità dell'origine del dolore (dukkhasamudaya): l'origine del dolore s'identifica con la brama (tanha), la quale conduce a nuove esistenze, è congiunta col diletto e con la concupiscenza, e trova appagamento ora qua ora là. Esiste la brama per il godimento degli oggetti dei sensi, la brama per l'esistenza, la brama per la non - esistenza.

Questa, o monaci, è la nobile verità della cessazione del dolore (dukkhanirodha): la cessazione del dolore è l'estinzione, il completo svenimento, l'abbandono, il rifiuto di questa brama, la liberazione e il distacco da essa.

Questa, o monaci, è la nobile verità del sentiero che conduce alla cessazione del dolore (dukkhanirodhagamini patipada): esso è il nobile ottuplice sentiero, ovvero retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto sforzo, retto modo di vivere, retta presenza mentale e retta concentrazione.

' Questo è il dolore, nobile verità ', ' il dolore, nobile verità, deve essere pienamente compreso ', ' il dolore, nobile verità, è stato pienamente compreso ': questa visione, o monaci, questa conoscenza, questa saggezza, questa sapienza, questa illuminazione circa cose mai udite prima, nacque in me.

' Questa è l'origine del dolore, nobile verità ', ' l'origine del dolore, nobile verità, deve essere abbandonata ', ' l'origine del dolore, nobile verità, è stata abbandonata ': questa visione, o monaci, questa conoscenza, questa saggezza, questa sapienza, questa illuminazione circa cose mai udite prima, nacque in me.

' Questa è la cessazione del dolore, nobile verità ', ' la cessazione del dolore, nobile verità, deve essere realizzata personalmente ', ' la cessazione del dolore, nobile verità, è stata realizzata personalmente ': questa visione, o monaci, questa conoscenza, questa saggezza, questa sapienza, questa illuminazione circa cose mai udite prima, nacque in me.

' Questo è il sentiero che conduce alla cessazione del dolore, nobile verità ', ' il sentiero che conduce alla cessazione del dolore, nobile verità, deve essere sviluppato e coltivato ', ' il sentiero che conduce alla cessazione del dolore, nobile verità, è stato sviluppato e coltivato ': questa visione, o monaci, questa conoscenza, questa saggezza, questa sapienza, questa illuminazione circa cose mai udite prima, nacque in me.

E, o monaci, finché questa visione cosciente delle Quattro Nobili Verità, con il suo triplice svolgimento ed i conseguenti dodici aspetti, non fu ben purificata, fino a quel momento, io non dichiarai al mondo, con i suoi deva, Mara, Brama, con le intere generazioni di asceti, di Brahmana, di esseri considerati divini e uomini, non dichiarai - dico - di aver perfettamente ottenuto il supremo e perfetto risveglio.

Ma non appena, o monaci, questa visione cosciente delle Quattro Nobili Verità, con il suo triplice svolgimento ed i conseguenti dodici aspetti, fu ben purificata, allora io dichiarai al mondo, con i suoi deva, Mara, Brama, con le intere generazioni di asceti, di Brahmana, di esseri considerati divini e uomini, dichiarai - dico - di aver perfettamente ottenuto il supremo e perfetto risveglio.

La conoscenza e la visione sorsero in me: 'la liberazione è per me inamovibile. Questa è l'ultima nascita. Ora non esiste più una nuova esistenza'.

- Il Nirvana:


“Vi è, o monaci, quella condizione ove non è né terra, né acqua, né fuoco, né
aria, ove non è né la sede dello spazio infinito né quella dell'infinita coscienza, né
quella della nullità, né quella propria a " né-coscienza-né-non-coscienza ", ove
non è né questo mondo né un mondo di là da questo, né entrambi assieme, né
luna, né sole. Da là, o monaci, io dichiaro, non si viene a nascere: ivi non si va,
[in quella condizione] non v’è permanenza, non v’è decadenza, non v’è nascita.
Non è fissa, non si muove, non è fondata su cosa alcuna.
Quella è, invero, la fine del Dolore”.

(Udana VIII,I)

Che cos'è il "Nirvana" nel Buddhismo?
    "Il termine significa 'estinzione'. Ma non è l'estinzione dell'uomo. Il Buddha non è stato un nichilista. Il solo annientamento da lui cercato è stato quello della sofferenza e delle cause che la provocano.. Questo è il nirvana. Una delle migliori definizioni antiche del nirvana è: l'estinzione della passione, dell'avversione e della confusione o smarrimento. Sono i tre peccati capitali descritti nel buddhismo delle origini. I testi pali dicono tante altre cose sul nirvana. Quando adottano il linguaggio negativo descrivono il nirvana come fine della sofferenza e del divenire, immortalità, modo di essere irremovibile, semplicità assoluta, estinzione della vanità, del pensiero e della brama, scioglimento da ogni attaccamento o desiderio, un modo di essere senza fine. Nel linguaggio positivo il nirvana è perfetta salute, massima sicurezza, libertà da ogni legame, un'isola di rifugio nel flusso del samsara, soddisfazione perfetta, pace, felicità.
    La mente umana e il linguaggio non riescono a descrivere adeguatamente il nirvana, perchè è una realtà che trascende ogni concezione e definizione. Questo è il motivo per cui del Buddha, colui che è salvato e liberato,non si può dire che, dopo la morte, è, nè che non è, nè che è e non è, nè che non è ed è. Il nirvana, anche se può essere raggiunto in questa vita, rimane inconcepibile dalla mente umana."
           (da G. Favaro, Il dialogo interreligioso, Ed. Queriniana, Brescia 2002, pag. 284-285)

- La Ruota dell'Esistenza (Bhavacakra):

PRIME LICEO - Il Confucianesimo


> La virtù "ren":

   "Essere capaci di realizzare cinque cose nel mondo è ren: il rispetto di sè, la magnanimità, la lealtà, la fedeltà, il fare il bene agli altri."

> La "regola aurea"

   "Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te"

(cfr. Mt 7,12)

SECONDE LICEO - Il peccato originale e la grazia

Sul peccato originale:

- San Paolo nella Lettera ai Romani descrive l'esperienza secondo cui noi spesso vediamo il bene che dovremmo fare, eppure facciamo il male che non vorremmo:
     Rm 7, 15-21:
    "15 Perché io non approvo quello che faccio; poiché non faccio quel che voglio, ma faccio quello che odio. 16 Ora, se faccio quello che non voglio, io ammetto che la legge è buona; 17 e allora non son più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. 18 Difatti, io so che in me, vale a dire nella mia carne, non abita alcun bene; poiché ben trovasi in me il volere, ma il modo di compiere il bene, no. 19 Perché il bene che voglio, non lo fo; ma il male che non voglio, quello fo. 20 Ora, se ciò che non voglio è quello che fo, non son più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. 21 Io mi trovo dunque sotto questa legge: che volendo io fare il bene, il male si trova in me."

- Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona, fa la distinzione tra 'libertas' (capacità di scegliere tra bene e male e di compiere il bene) e 'liberum arbitrium' (capacità di scegliere tra bene e male) e afferma che dopo il peccato originale l'uomo ha perso la 'libertas', ma non il 'liberum arbitrium'. L'uomo ha, pertanto, ancora la capacità di scegliere tra bene e male, ma per poter compiere il bene ora ha bisogno necessariamente della grazia di Dio.
      "Confessioni", Libro Secondo, Capitolo IV:
      "La legge tua, Signore, punisce, senza discussione, il furto: lo punisce anche la legge scritta nel cuore degli uomini che nemmeno l'iniquità cancella: nessun ladro infatti sopporta con indifferenza di essere derubato: neanche il ricco da chi è spinto dal bisogno. Ebbene, io volli commettere un furto, e lo feci non costretto da indigenza, ma da mancanza e da intolleranza del senso di giustizia, dall'esuberanza del malvolere. Ciò che rubai, io lo avevo largamente, di qualità molto migliore; nè volevo godere di quello a cui tendeva il furto, ma proprio del furto e del peccato. Contiguo al nostro podere era un pero carico di frutti, non allettanti affatto nè per bellezza nè per sapore. Dopo aver protratto il gioco, secondo la nostra pessima usanza, fino a tarda ora nelle piazze, nel cuor della notte la triste combriccola di noi ragazzacci si recò a scuotere quell'albero e a depredarlo: e ne portammo via un gran carico, non per mangiare a sazietà, se pure ne assaggiammo, ma per darne in pasto persino ai maiali: nostro unico piacere fu quello di fare ciò che non era lecito, perchè ciò ci piaceva.
      "Contra duas epistolas Pelagianorum", I, 2,5:
      "Chi di noi, d'altronde, oserebbe affermare che, per il peccato del primo uomo, il libero arbitrio è scomparso dal genere umano? E' vero che la libertà è perita per il peccato, ma soltanto quella che esisteva in paradiso, e cioè quella di possedere, con l'immortalità, la pienezza della giustizia"
      "De natura et gratia", 66,79:
      "Perciò la natura umana ha bisogno della grazia divina. [...] ...pertanto con l'aiuto della grazia per Gesù Cristo nostro Signore otterremo due risultati: e sarà rimossa la malvagia necessità e sarà concessa la completa libertà." 

      > "Canone 2 (sul battesimo dei bambini" del Concilio di Cartagine (418):
         " Chiunque nega che si debbano battezzare i bambini in tempo attiguo al parto, o dice che essi vengono sì battezzati per la remissione dei peccati, ma non si traggono affatto dietro da Adamo il peccato originale che viene espiato dal lavacro della rigenerazione, da cui consegue che nel loro caso la forma del battesimo 'in remissione dei peccati' viene compresa non come vera, ma come falsa, sia anàtema." 

Sulla giustificazione del peccatore e la grazia di Dio:

- Martin Lutero (1483-1546) nel 1532 racconta con queste parole "l'esperienza della torre" che egli ha avuto nel castello di Wartburg tra la fine del 1512 e l'inizio del 1514, nella quale egli fece la grande scoperta della 'giustificazione del peccatore' e della grazia di Dio:
       "Le parole 'giusto' e 'giustizia di Dio' ebbero sulla mia coscienza l'effetto di un fulmine; quando le ascoltavo, mi atterrivo: se Dio è giusto, allora deve punire. Ma quando una volta meditai, in quella stanza della torre, sulle parole <<Il giusto vivrà in forza della fede>> (Rm 1,17) e <<giustizia di Dio>>, pensai immediatamente: se dobbiamo vivere come giusti secondo la fede e se la giustizia di Dio deve risolversi nella salvezza di ogni credente, allora non sarà per merito nostro, ma per la misericordia di Dio. Così il mio spirito fu rinfrancato, poichè la giustizia di Dio consiste nel ricevere la giustificazione ed essere redenti tramite Cristo. Ora quelle parole si sono trasformate per me in dolci parole. In questa torre lo Spirito Santo mi ha fatto comprendere il senso della Scrittura."

- Il Concilio di Trento (1545-1563) risponde a Lutero con il Decreto sulla giustificazione (Sessione VI - 13 gennaio 1547), nel quale si afferma che tale giustificazione non è forense (nella quale, cioè, il peccatore viene 'dichiarato' giusto da Dio, ma l'uomo rimane dopo di essa 'simul iustus et peccator'), ma effettiva (in quanto tale giustificazione trasforma la natura dell'uomo e la santifica). La giustificazione - secondo Trento - non 'dichiara' l'uomo giusto, ma lo 'fa' giusto:
       "Unica formalis causa est iustitia Dei,
         non qua ipse iustus est,
         sed qua nos iustos facit"
      ["Unica causa formale (della giustificazione) è la giustizia di Dio,
         non quella per cui egli stesso è giusto,
         ma quella per cui ci rende giusti"]

venerdì 2 marzo 2012

PRIME LICEO - Un confronto tra il Taoismo e il pensiero di Eraclito di Efeso

- Dal Tao te ching [Il Libro della Via e della Virtù], cap. I (Ed. Adelphi, Milano  2010, X ed., pag. 27):

     "La Via veramente Via non è una via costante. [...]
      ...è grazie al costante alternarsi del Non-essere e dell'Essere che si vedranno dell'uno
     il prodigio, dell'altro i confini."

Secondo il testo fondamentale del Taoismo (VI sec. a.C.), dunque, la Via (Tao) è la perpetua mutevolezza stessa. L'Essere e il Non-Essere, la vita e la morte si alternano costantemente.

- Da Eraclito di Efeso, Frammento 11:

   "Ciò che si oppone converge,
     e dai discordanti bellissima armonia"

Per Eraclito di Efeso (vissuto tra il VI e il V sec. a.C.) lo scorrere perpetuo delle cose e il divenire universale si rivelano come armonia dei contrari. Questa "armonia" e "unità degli opposti" è "il principio" (l'archè) [in questo senso possiamo qui riconoscere una sorprendente somiglianza tra il concetto di archè nei Presocratici e quello di Tao nel Taoismo!!!].
La legge segreta del mondo risiede nella stretta connessione dei contrari che, in quanto opposti, lottano tra loro, ma nello stesso tempo non possono stare l'uno senza l'altro [proprio come nell'opposizione-armonia tra Yin e Yang!!!].

sabato 18 febbraio 2012

TERZE LICEO - Film "Le regole della casa del sidro"

Le regole della casa del sidro
(The Cider House Rules)

Il medico del Maine
si candida all'Oscar

di ROBERTO NEPOTI  (da Repubblica, 14 marzo 20009)


SIAMO ormai in dirittura di Oscar e continuano a uscire sui nostri schermi i film fregiati di nomination. Corre per sette statuette Le regole della casa del sidro, un classico racconto di formazione tratto dalle pagine di John Irving (lo scrittore appare nel film in un "cammeo") e realizzato in America dallo svedese Lasse Hallstrom. Le regole del titolo si riferiscono ai raccoglitori stagionali di mele, cui per un po' si unisce il giovane protagonista della storia: Homer Wells (Tobey Maguire), orfano adottato dal generoso dottor Larch (Michael Caine, in una parte cui un tempo si era candidato Paul Newman), medico filantropo che manda avanti un orfanotrofio nel Maine, si prodiga per i ragazzini senza famiglia e pratica l'aborto onde evitare guai peggiori.

Il film sostiene la necessità di infrangere, all'occorrenza, le regole, nella casa del sidro o altrove, purché le violazioni siano compiute a fin di bene. Per conto nostro se ne dovrà convincere Homer, protagonista di un rito di passaggio che comprende l'amore per la bella Candy (Charlize Theron), il lavoro e un aborto, prima del ritorno alla casa del padre putativo per prenderne il posto.

Alla presentazione in concorso a Venezia molti, commentando Le regole della casa del sidro, hanno nominato Charles Dickens, che il film cita del resto esplicitamente (assieme a parecchie altre cose). L'andamento narrativo è quello tipico del melodramma, dove si matura attraverso l'amore e il dolore e tutto quel che viene detto ha un significato drammatico o patetico, comunque pregnante ("Buonanotte, o principi del Maine", saluta i suoi orfanelli il buon dottore); anche se, magari, con qualche grano di tenero humour succhiato dai romanzi di formazione di Mark Twain e affidato, qui, al bravo Caine.

Non è difficile capire perché ai giurati sia piaciuta tanto una storia raccontata alla maniera classica del cinema americano: con un andamento solenne, un sicuro senso dello spettacolo, qualche notazione sdolcinata, una confezione elegante senza lampi di creatività. Fatto salvi - magari - i momenti con i bambini, che fin dall' esordio con La mia vita a quattro zampe hanno sempre ispirato Hallstrom. Un film di "studio" insomma (la Miramax), dove i contenuti stoici e coraggiosi del romanzo di Irving (la maturità è accettare che gli altri facciano le loro scelte) finiscono per omogeneizzarsi e adeguarsi alla logica dell'intrattenimento.

> Riflessioni sul film di alcuni studenti:
     
     “Un tema fondamentale del film è quello delle relazioni; a mio parere, la più significativa è quella che lega Homer ed il dottor Larch, il quale può essere considerato a tutti gli effetti il padre del giovane. Sembra che il dottore, subito dopo un brevissimo sguardo ad Homer, quando quest’ultimo è ancora in tenerissima età, colga che nell’animo del bambino c’è un qualcosa di speciale, che lo rende diverso dai suoi coetanei e fa di lui quasi un predestinato, una persona indubbiamente ‘utile per gli altri’. E così il dottore trasmette al giovane, effettivamente dotato di una particolare propensione all’apprendimento e di una grande volontà, le sue competenze in campo medico, con il chiaro scopo di fare di lui il suo erede nella direzione della piccola clinica di St. Cloud; ed è in questo che, a mio parere, possiamo rintracciare un lato negativo, o almeno egoistico, del carattere del dottore, che risulta deciso a vincolare Homer alla realtà ristretta del luogo in cui il ragazzo ha sempre vissuto, quasi non prevedendo altro per il suo futuro; questo comportamento può essere giustificato in parte immedesimandoci nella figura dell’uomo, che vede Homer come una creatura di cui può godere esclusivamente St. Cloud. Quando il ragazzo decide di partire, animato dal desiderio di ‘vedere l’oceano’, ossia di conoscere il mondo, di uscire da una realtà che gli sta stretta, che lo limita, inizia per il dott. Larch una parabola discendente, una degenerazione a livello psicologico, che lo porta alla morte. Homer, dopo aver appreso la notizia della sua scomparsa, decide di tornare, sentendosi in dovere. Se il legame tra lui e il dottore fosse stato leggermente meno intenso, il ragazzo avrebbe optato comunque per un ritorno al piccolo St. Cloud, lasciandosi alle spalle il vasto oceano?”

“È difficile poter giudicare una donna che decide di abortire. Certamente è necessario considerare l’intero contesto in cui si trova a dover affrontare il problema. Quella di abortire è una scelta di grande importanza e difficoltà, dal momento che non riguarda unicamente la donna-madre, ma in ballo c’è anche la vita di un’altra persona, non libera di scegliere della propria stessa vita. Certamente si tratta di una scelta di grande responsabilità e profondità, tale da segnare, talvolta anche per tutta la vita, una persona. È necessario, tuttavia, prima di poter giudicare (se possibile) una donna che prende una decisione così impegnativa, considerare le condizioni in cui si trova e le motivazioni, talvolta evidenti, per cui ha scelto di prendere questa strada. Nel film, infatti, vengono presentate due situazioni di aborto ben differenti tra loro. La prima a trovarsi nella situazione di voler abortire è Candy: una donna giovane e con un compagno che dimostra di amarla. Candy decide comunque di porre fine alla sua gravidanza, lasciando ignote, però, le motivazioni reali di tale gesto. Nella seconda parte del film, invece, ad abortire è Rose Rose, ragazza messa in cinta dal padre, che era solito abusare di lei. Il caso di Rose Rose appare certamente molto più complesso e problematico del primo. In realtà, quindi, non è giusto dare un giudizio così superficiale ed affrettato; la scelta presa da Candy è altrettanto sofferta e, fin dall’inizio, quando lei e il suo compagno si trovano nello studio del dottore, lei appare non del tutto convinta e, dopo l’aborto, appare sconvolta nel più profondo del suo animo, più volte anche in modo evidente. Rose Rose, oltre ad affrontare il dramma interiore di portare a termine l’aborto, si trova a dover affrontare anche il dramma di avere come ‘malfattore’ proprio il suo stesso padre.”

 “Giusto e sbagliato, bene e male sono argomenti centrali del film. Fin dall’inizio, Homer e il dottor Larch si scontrano sul problema dell’aborto; Candy vive una relazione controversa col giovane dottore: lei è già sposata e suo marito torna paralizzato dalla guerra; infine il padre di Rose commette uno dei peccati più terribili. Tuttavia ogni personaggio riscatta la propria colpa e il film si conclude con il ritorno simbolico del protagonista nel luogo da cui era partito. Il regista ha scelto alcune situazioni che appaiono sbagliate a prescindere, proprio per mettere in luce tutte le sfumature, i risvolti psicologici delle persone coinvolte, che spesso non vediamo. Significativa, a tal proposito, è la scena in cui Homer legge ad alta voce le ‘regole’ della casa del sidro e poi le getta nel fuoco. Homer è stato proiettato in questo mondo di grigi, non lo guarda più con distacco, ha imparato a sue spese che molte cose sono diverse, viste ora da un’ottica diversa, e distrugge quelle leggi scritte da uomini che non hanno vissuto la sua esperienza.”

 “La scena finale chiude perfettamente il quadro del punto di vista del significato del film. È quando Homer tornato nell’orfanotrofio annuncia la buonanotte ai bambini e ancora fermo sull’uscio, prima di chiudere la porta, e far ricadere la stanza nella penombra, esclama con un sorriso nostalgico sulle labbra : «Buonanotte principi del Mayne, re della nuova Inghilterra». Era l’esclamazione abituale del dottor Larch, una consuetudine; ogni sera veniva pronunciata con un misto di austerità e tenerezza dal dottore prima che la porta venisse chiusa. Era una ricorrenza, una routine che terminava la giornata per i bambini. Subito dopo, anche se non erano state compresa appieno, quella frase suscitava interrogativi piacevoli tra i bambini, che si addormentavano con il sorriso sulle labbra ripensando a quelle misteriose parole ripetute loro ogni sera e che, in qualche modo, li rendeva ‘importanti’. Ruolo che, fino a prima della sua morte, il dottor Larch non ha mai mancato di adempiere. Homer nel suo travagliato percorso alla fine ritorna a casa, dopo aver visto l’oceano, dopo aver provato sulla sua pelle nuove esperienze, dopo aver conosciuto realtà diverse, ritorna al suo punto di partenza. In parte è una scelta, in parte si sente quasi predestinato a quel luogo. Il dottor Larch, forse per egoismo o forse accecato dal troppo amore, lo sapeva bene. Homer ancora no, doveva sperimentarlo sulla propria pelle. E quando giunge il momento, deluso dall’amore, carico di esperienze, ricordi, avventure, capisce che è il momento di tornare. Tornare ad occupare il posto che il destino gli ha riservato. C’è voluto del tempo per acquisire questa consapevolezza. Un percorso formativo. Alla fine torna, niente sembra cambiato, tranne il fatto che il dottor Larch non c’è più. Ecco allora che avviene quell’ultima scena, carica di emozioni, che si leggono negli occhi e nel sorriso di Homer. Ora è lui a dare la buonanotte agli orfani, ricopre lui questo compito. E con questa ‘investitura’ consenziente da parte di Homer, termina il film.”

 “Ciò che mi ha colpito molto del film è il viaggio di formazione che compiono molti personaggi, non solo il protagonista. Homer, il personaggio principale, vuole trovare il suo posto nel mondo; lascia perciò l’orfanotrofio alla prima occasione, per conoscere nuove realtà, ma alla fine ritornerà, finalmente consapevole del ruolo che è destinato a svolgere. Ugualmente Candy, come Homer, tornerà con il fidanzato che, partito per la guerra, è tornato ferito e la ragazza, mossa dai sensi di colpa per averlo tradito con Homer, riconosce che tornare con lui sia la cosa giusta da fare. Probabilmente questa azione determina la scelta di Homer di tornare all’orfanotrofio. Se avesse potuto scegliere tra la ragazza e i bambini dell’orfanotrofio, avrebbe davvero scelto loro? Anche Mr. Rose, personaggio secondario, maturerà alla fine del film, consapevole di aver violato i legami tra padre e figlia, distrutto dai sensi di colpa, capisce l’errore irreparabile che ha compiuto e morirà pentito. Tutti e tre i personaggi alla fine ritornano al ruolo iniziale, a cui inconsciamente sapevano di essere destinati ma, attraverso questo viaggio di formazione, ne acquistano consapevolezza.”

 "Mi è rimasto particolarmente impresso un invito rivolto dal dottor Larch al giovane Homer: «Fai qualcosa per renderti utile». Homer all’inizio del film non comprende fino in fondo il significato di questa frase. Forse non apprezza ancora tutto quello che con attenzione e cura gli ha insegnato il dottore perché i muri dell’orfanotrofio ormai gli stanno stretti, deve adempiere ad un dovere che gli è stato in qualche modo imposto, che non ha scelto. All’inizio del film è proprio il dottor Larch a prendere le decisioni che coinvolgono Homer: lui lo sceglie come assistente, lui gli dice cosa fare per prendersi cura, insieme alle infermiere, dei piccoli orfani. Il dottor Larch, nel momento in cui Homer decide di partire per conoscere e vedere una nuova realtà, non può che mostrarsi insoddisfatto, triste e deluso: lui dava per scontato che Homer un giorno avrebbe preso il suo posto, l’ennesima scelta del dottore fatta al posto del giovane. Nel periodo lontano dall’orfanotrofio Homer cresce, conosce tante persone diverse, s’innamora, gioisce e soffre cominciando una vita da zero, una vita senza l’interferenza del dottore che tanto lo amava e che pensava sempre di scegliere il suo bene. Homer capisce cosa vuol dire ‘rendersi utili’ quando si ritrova ad essere l’unico che può salvare Rose Rose, e sempre in questo momento apprezza veramente tutto ciò che gli aveva insegnato il dottor Larch. Homer alla fine del film ha completato il suo cammino di crescita: è+ diventato responsabile di sé stesso. Torna all’orfanotrofio, secondo me, solo in parte condizionato dagli eventi (il ritorno del marito di Candy e la morte del dottor Larch) perché, se avesse voluto, avrebbe potuto cominciare un’altra volta da capo, accettando la proposta dei raccoglitori di mele. Homer, invece, ha capito che il suo posto, il suo ruolo è quello di medico dell’orfanotrofio. Egli torna proprio da dov’era partito ma questa volta è una sua scelta, è lui a decidere cosa fare della sua vita.”

 “Quando una persona mente, e ottiene il suo scopo, la colpa è anche di chi crede alla bugia. Il dottor Larch racconta ai suoi orfanelli che un bambino morto è stato adottato: come previsto viene creduto, perché i bambini preferiscono pensare il loro amico in una nuova famiglia che al cimitero. Spesso le apparenze ingannano: il signor Rose sembra un padre affettuoso e invece ha un rapporto morboso con la figlia; Candy sembra una ragazza opportunista, ma alla fine allontana un ragazzo che ha amato per stare vicino ad un altro in difficoltà che può offrirle ben poca felicità; il dottor Larch sembra cinico, ma si prende cura dei suoi orfani il meglio possibile. Le regole creano un’apparenza di ordine e legalità, ma non sono necessariamente scritte per il benessere e l’utilità di chi le deve seguire. Mentire è sbagliato nella mentalità comune, ma mentre a fin di bene non è considerato un male. Fare una cosa sbagliata a fin di bene può essere considerato un peccato, ma lo è secondo le regole scritte. È difficile distinguere vera generosità e altruismo nei rapporti con gli altri. Dove si ferma il nostro interesse per l’altro e inizia la gratificazione? È difficile dire se il dottor Larch allevi gli orfani solo perché non è riuscito a fare di meglio nella vita o per vero altruismo, o perché Homer torni, se per stare vicino ai bambini e continuare il lavoro del dottor Larch, o perché essere un medico e sentirsi utile nell’orfanotrofio è meglio di raccogliere mele.”

 “Uno dei temi principali del film è senz’altro quello evidenziato dal titolo: il tema delle regole. In particolare risulta incisivo il parallelismo fra due tipi di regole, sostanzialmente differenti: un gruppo comprende norme ‘formali’ e un altro regole ‘morali’, più legate alla coscienza che non ad un esplicito codice. Questo dualismo è presente fin dalla prima fase nell’orfanotrofio del dottor Larch, nel quale, sebbene le regole ‘formali’ della legge lo vietino, viene praticato l’aborto. Il fine di quest’ultimo è, tuttavia, buono: non c’è la pretesa di fare affari, né altri doppi fini, c’è solo la volontà di aiutare persone che, prese dalla disperazione, potrebbero affidarsi a mani non professioniste, mettendo a repentaglio la propria salute. Il dott. Larch agisce dunque in conseguenza a un codice morale, sulla noncuranza di quelle leggi, redatte probabilmente da persone che non si sono mai trovate nella situazione di dover prendere una decisione e una responsabilità così grandi come quelle legate all’aborto, che risultano perciò totalmente estranee e insensate. Una situazione molto simile si ritrova nella casa del sidro, dove le regole affisse al muro della baracca sono deliberatamente trascurate dai lavoratori che la abitano. Le ragioni sono fondamentalmente le stesse: le regole sono sensibilmente frutto di persone che non hanno mai abitato la casa del sidro e non possono quindi calarsi nei panni di quei lavoratori. L’infrazione di queste regole formali non porta, nel film, a conseguenze negative, se non altro, non certo per la coscienza degli infrattori. Molto più pesanti, a livello emotivo e psicologico, sono invece le conseguenze di chi infrange dei valori ‘morali’ legati più alla coscienza, come nel caso di Homer e di Candy. Questa, che già infrangendo la formalità del divieto dell’aborto, aveva superato felicemente la difficile decisione, si trova in una situazione ancora più difficile nel momento in cui, tradito il fidanzato in servizio militare con Homer, viene a conoscenza che il partner rientrerà a casa paralizzato. Qui la coscienza non permetterà a Candy di superare la sua ‘infrazione’, facendola infatti tornare dal fidanzato mettendo all’oscuro ciò che era accaduto in sua assenza e, probabilmente, dimenticandolo.”

 “L’attrazione che si sviluppa fra i personaggi di Homer e Candy conferisce una forte tensione all’intera narrazione. Il tema viene affrontato in maniera diversa dai due e assume un diverso significato per ciascuno: per Homer costituisce la prima scoperta di un’attrazione per il mondo femminile in tutte le sue sfaccettature, tale da provocare in lui sentimenti così forti da fargli perdere i suoi freni inibitori e ad annebbiare il suo buon senso; per Candy sembra quasi che si configuri più come una sorta di gioco, una sorta di capriccio per dare sfogo ai suoi istinti di frivolezza, una sfida nei confronti di un ragazzo semplice, umile, innocente ed onesto. Il vero animo di Candy e la sua integrità morale, seppur offuscata da questo suo carattere superficiale, emergeranno soltanto di fronte alle difficoltà: quando il suo vero fidanzato infatti si troverà ad essere in stato di paralisi a causa di un incidente aereo, lei stessa non esiterà a decidere di stargli accanto e di dedicarsi completamente a lui, nonostante la difficoltà della scelta intrapresa. D’altra parte Homer, che si era lasciato condurre in qualcosa forse più grande di lui, si troverà ad aver perso la sua innocenza e a provare dei forti sentimenti per una persona che non sente più il bisogno di averlo accanto: questo ci dà un’idea della dimensione realistica che è all’interno della narrazione e che trova esempi nella vita di ogni giorno; la vita è fatta anche di delusioni, amarezze, concessioni poco accorte di fiducia cieca, ma certo questi aspetti hanno anche un senso costruttivo, e contribuiscono in qualche modo a renderci più consapevoli e maturi di noi stessi e degli altri. Dal punto di vista del messaggio che viene a richiamare la nostra attenzione, il regista ci vuole comunicare il classico principio che istituisce che chi trasgredisce in qualche modo la legge morale di onestà e rispetto debba essere punito. Emblematico a proposito è l’esempio di Homer che, intrattenutosi con Candy in modo occulto nei confronti del suo fidanzato e, lasciatosi ammaliare dal suo aspetto e dai suoi costumi, al termine della narrazione si troverà ad essere solo.”

 “La riflessione che ha suscitato in me la visione del film, si è rivelata molto utile per aiutarmi a dare una forma concreta e precisa su molti miei pensieri, riguardanti l’aborto, che ho sempre tenuti impliciti e vaghi. È stata in particolare la vicenda tra Rose e il padre a colpirmi e a farmi riflettere maggiormente, e le conclusioni a cui sono giunta sono queste: l’aborto è, di per sé, un atto spregevole e ingiusto; ma, come ogni azione bella o brutta che sia, va necessariamente contestualizzata. Nel momento in cui la donna rimasta incinta non è la responsabile della gravidanza, e non è in condizioni fisiche o psicologiche adatte per portare a termine la gravidanza, è a mio parere giustificata ad abortire. Non si parla di mancanza di soldi o di mezzi di prima necessità: i beni materiali passano in secondo piano, in una situazione del genere. Non si tratta nemmeno di dover affrontare l’esperienza da soli: una volta partorito, il neonato può essere affidato, anche anonimamente, all’ospedale, che se ne prenderà cura. Il problema è se la madre sia in grado di gestire una cosa così impegnativa, se sia abbastanza brava ad assumersi la responsabilità di un’altra vita nelle sue mani, oltre la propria, e che sia pronta a donare al bambino tutto l’amore di cui ha bisogno. Anche la situazione opposta può essere rischiosa: una donna che desidera tanto un figlio, al punto da rimanere incinta e partorire, poi si rivela incapace, se pur con migliori intenzioni, di gestire la situazione, non può continuare a fare la madre: il bambino non deve solo nascere e sopravvivere, deve ancora vivere e imparare a farlo, e le circostanze in cui il piccolo può crescere bene e in salute devono essere preparate dai genitori, che abbandonano una visione della vita in cui il fine era la realizzazione di se stesso, e ne assumono un’altra, il cui scopo è quello di realizzare la crescita, la maturazione e la felicità del figlio.”

 “Uno dei temi principali di questo film è quello del rapporto fra le persone e la legge, e le regole imposte da essa. Nella casa dove vivono i raccoglitori di mele sono appese sulla parete delle regole scritte dai proprietari e che non sono accettate dai lavoratori perché le ritengono ingiuste e senza senso: sono state scritte da persone che non hanno mai vissuto lì e che non possono capire quali siano i desideri e le necessità di quella piccola ‘comunità’; anche se con diverse e più gravi implicazioni, la scelta del dottor Larch di compiere aborti (pratica illegale), dettata da una sua personale scelta, è riconducibile ad una simile opinione riguardo le regole e le leggi: egli decide di fare ciò perché ritiene in questo modo di poter aiutare delle donne che, altrimenti, per giungere al risultato voluto, avrebbero rischiato di mettersi nelle mani di persone incapaci e, in questo modo, avrebbero messo a repentaglio la loro vita. La scelta del dottore è quindi dettata dalla volontà di fare del bene, seppur contravvenendo alle leggi. Ci sono troppi casi particolari e bisognerebbe conoscere molto bene le situazioni per poter imporre delle regole universali e spesso la cosa più importante si rivela il buon senso che una persona ha.”

 “Nel film che abbiamo guardato nelle scorse settimane e, fra i tanti temi che vengono posti alla nostra attenzione, uno in particolare mi ha interessato: si intrecciano molte relazioni, amorose e non, che attraverso le diversità di ciascuno fanno capire allo spettatore e agli stessi personaggi (vedi Candy e Homer) che, come l’uguaglianza, questa diversità è un carattere imprescindibile in una relazione umana. Ognuno di noi infatti non solo si identifica coi propri simili, ma cerca nel contempo il proprio opposto, così come nel mito platonico degli Androgini; infatti, siamo naturalmente portati a cercare il nostro complementare, per poter così giungere alla più totale realizzazione di noi stessi in quanto esseri umani.”



“«Le regole della casa del sidro» è uno di quei film che ti stupisce piacevolmente; inizi a guardarlo pensando di essere davanti ad uno dei tanti film che hanno come tema principale una storia d’amore tra due protagonisti che devono vivere le difficoltà di una società sconvolta dalla guerra, ma ci si accorge presto che questo film è diverso da tutti gli altri. Questo è un film che fa riflettere profondamente su molti aspetti della vita e dei comportamenti dell’uomo, fa capire come i sentimenti condizionino fortemente il modo di agire delle persone, ma anche come spesso gli uomini per egoismo confondano il bisogno di non sentirsi soli con l’amore, come ad esempio succede a Candy che, come lei stessa dice, non è mai stata brava a star sola e quindi dopo la partenza di Wally per la guerra inizia una relazione segreta con Homer, vero protagonista della storia, tornando tuttavia sui suoi passi in poco tempo quando il suo fidanzato tornerà dalla guerra gravemente ferito. Già qui possiamo trovare uno spunto per riflettere su uno dei molti temi del film: il senso di colpa; è proprio il senso di colpa quello che porta Candy a ritornare da Wally non appena questo torna a casa paralizzato, ed è sempre il senso di colpa che porta Mr. Rose, capo dei raccoglitori, reo di aver violentato e messo incinta la propria figlia Rose Rose, a lasciarsi morire dopo che la figlia lo aveva accoltellato una prima volta e dopo che si era volontariamente colpito altre volte; in entrambi i casi qui possiamo vedere come ad un certo punto arriva sempre un momento in cui ci si rende conto degli errori commessi a causa della nostra natura egoista, e arrivati a quel punto si possono fare due cose: tornare indietro sui propri passi facendo comunque soffrire qualcuno, oppure essendo arrivati ad un punto in cui indietro non si torna l’unica soluzione è sparire per sempre per non far più del male. Senza dubbio nel film è visibile anche il lato possessivo delle persone; in un rapporto ad esempio come quello tra il dottor Larch e Homer è palese come il dottore cerchi di chiudere qualsiasi ‘via di fuga’ dall’orfanotrofio al giovane, questo non per cattiveria, quanto per una ipocrita convinzione che Homer non sia ‘adatto’ alla vita reale, ma solo a quella dell’orfanotrofio, dove sarebbe dovuto rimanere, nei piani del medico, a sostituirlo. Sarà invece proprio grazie alla conoscenza del ‘mondo reale’, delle debolezze dell’uomo e dell’amore che Homer capirà quale sarebbe stato il ruolo che avrebbe dovuto occupare nel mondo, anche se questo ruolo comportava tornare all’orfanotrofio di St. Cloud’s. Proprio il personaggio di Homer è quello che cresce di più durante la storia e capisce cosa sia giusto fare, non solo pensando al proprio bene, ma pensando a quello altrui, sia ai bambini dell’orfanotrofio sia alle donne che si rivolgevano a Larch per abortire, pratica che lui riteneva sbagliata ma che poi capirà, a causa della vicenda di Mr. Rose e della figlia, essere in certi casi necessaria per la vita di alcune persone. Sottolineato nel titolo inoltre c’è il tema delle regole: regole fatte sia per permettere la civile convivenza delle persone, sia per controllare e limitare il pensiero delle persone stesse; senza dubbio qui vediamo come proprio le regole tese alla limitazione dell’uomo siano eluse senza alcuna remora, per bisogno proprio dell’uomo che le infrange di rivendicare la propria libertà, sia nel caso delle regole ‘della casa del sidro’, sia nel caso delle regole imposte dalla società bigotta del tempo, come quelle sull’aborto. Senza dubbio altre milioni di riflessioni diverse saranno venute ad altre persone che hanno visto questo film, che va visto senza dubbio e che riuscirebbe senza dubbio a toccare e commuovere anche la persona più fredda su questa terra.”

 “«Giocare a Dio»… l’accusa che Homer rivolge in una lettera al dott. Larch mi sembra possa essere un’efficace descrizione del modo in cui i protagonisti del film vivono le loro relazioni… giocano… con la vita degli altri… forse perché bisognosi di rendere eccezionale una vita che, altrimenti, resterebbe mediocre ed insignificante… giocano a fare Dio… dimenticandosi di essere uomini… fragili… terribilmente fragili… Gioca il dott. Larch… a salvare bambini figli di nessuno e a salvare donne madri dell’istinto… ed è un gioco serio il suo, teso a prendersi cura di coloro di cui nessuno altrimenti si occuperebbe, ma questo gioco poi sfocia in un ‘inebriamento’ di onnipotenza che lo ucciderà… Gioca Mr. Rose… a fare il ‘capo’ impareggiabile e il ‘padre’ integerrimo… maschere che nascondono il suo bisogno di controllare e possedere tutto, perfino la vita di sua figlia… e proprio la ‘sua’ creatura violata gli strapperà violentemente la vita… Gioca Homer… con la vita di Candy, con il suo desiderio di sentirsi adorato e corteggiato… gioca perché nessuno gli ha mai fatto sentire la tenera carezza di un amore che dona rispetto e libertà… e, quando finalmente impara ad amare, si troverà solo… orfano di se stesso…
A fronte della tentazione costante che insidia anche la nostra vita – quella di ‘giocare a fare Dio’ – questo film mi sembra uno splendido invito a non aver paura di ‘accontentarci’ di essere veramente ed autenticamente uomini… nelle drammaticità delle scelte che ogni giorno abbiamo da compiere, nella fragilità dei nostri desideri, nella tenerezza dei nostri amori… qui, proprio qui, su questa terra imbevuta di sangue, ci ‘giochiamo’ il rischio della nostra libertà… nel rispetto dell’altro, nel desiderio che dona gioia, nel riconoscere l’alterità del volto di chi mi sta davanti… questa – e solo questa – è la ‘regola’ del nostro vivere… e il compito che ci spetta: imparare l’umanità… unica libertà… che salva…”