La testimonianza di Elie Wiesel (1928/ premio Nobel per la pace nel 1986) deportato ad Auschwitz e Buchenwald: da Elie Wiesel, La notte, Ed. La Giuntina, Firenze 1980:
"La sera, sdraiati sui nostri giacigli, cercavamo di cantare qualche melodia chassidica, e Akiba Drumer ci spezzava il cuore con la sua voce grave e profonda. Alcuni parlavano di Dio, delle Sue vie misteriose, dei peccati del popolo ebraico e della liberazione futura. Io avevo smesso di pregare. Come capivo Giobbe! Non avevo negato la Sua esistenza, ma dubitavo della Sua giustizia assoluta." (pag. 49)
"Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle lacrime.
Tranne che una volta. L'Oberkapo del 52° commando dei cavi era un olandese: un gigante di più di due metri. Settecento detenuti lavoravano ai suoi ordini e tutti l'amavano come un fratello. Mai nessuno aveva ricevuto uno schiaffo dalla sua mano, un'ingiuria dalla sua bocca.
Aveva al suo servizio un ragazzino un pipel, come lo chiamavamo noi. Un bambino dal volto fine e bello, incredibile in quel campo.
(A Buna i pipel erano odiati: spesso si mostravano più crudeli degli adulti. Ho visto un giorno uno di loro, di tredici anni, picchiare il padre perché non aveva fatto bene il letto. Mentre il vecchio piangeva sommessamente l'altro urlava: «Se non smetti subito di piangere non ti porterò più il pane. Capito?». Ma il piccolo servitore dell'olandese era adorato da tutti. Aveva il volto di un angelo infelice).
Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò. Chiamata sul posto la Gestapo concluse trattarsi di sabotaggio. Si scoprì una traccia: portava al blocco dell'Oberkapo olandese. E lì, dopo una perquisizione, fu trovata una notevole quantità di armi. L'Oberkapo fu arrestato subito. Fu torturato per settimane, ma inutilmente: non fece alcun nome. Venne trasferito ad Auschwitz e di lui non si senti più parlare. Ma il suo piccolo pipel era rimasto nel campo, in prigione. Messo alla tortura restò anche lui muto. Allora le S.S. lo condannarono a morte, insieme a due detenuti presso i quali erano state scoperte altre armi.
Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell'appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipel, l'angelo dagli occhi tristi. Le S.S. sembravano più preoccupate. Più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L'ombra della forca lo copriva. Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia. Tre S.S. lo sostituirono. I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.
- Viva la libertà! - gridarono i due adulti.
Il piccolo, lui, taceva.
- Dov'è il Buon Dio? Dov'e? - domandò qualcuno dietro di me.
A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.
Silenzio assoluto. All'orizzonte il sole tramontava.
Scopritevi! - urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo.
- Copritevi!
Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora...
Più di una mezz'ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.
Dietro di me udii il solito uomo domandare:
- Dov'è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca... Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere." (pag. 65-67)
Una voce ebraica: Hans Jonas (1903-1993): da Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Ed. Il melangolo, Genova 1989:
"Dio permise che ciò accadesse. Ma quale Dio poteva permetterlo? [...] per l'ebreo che vede nell'al di qua il luogo della creazione, della giustizia e della salvezza divina, Dio è in modo eminente il signore della storia, e quindi 'Auschwitz', per il credente, rimette in questione il concetto stesso di Dio che la tradizione ha tramandato. [...] Quindi chi non intende rinunciare sic et simpliciter al concetto di Dio... deve pensare questo concetto in modo del tutto nuovo e cercare una nuova risposta all'antico interrogativo di Giobbe. Ove decidesse di farlo, dovrebbe anche lasciar cadere l'antica concezione di Dio signore della storia: perciò, quale Dio ha permesso che ciò accadesse?" (pag. 22-23)
"Dio permise che ciò accadesse. Ma quale Dio poteva permetterlo? [...] per l'ebreo che vede nell'al di qua il luogo della creazione, della giustizia e della salvezza divina, Dio è in modo eminente il signore della storia, e quindi 'Auschwitz', per il credente, rimette in questione il concetto stesso di Dio che la tradizione ha tramandato. [...] Quindi chi non intende rinunciare sic et simpliciter al concetto di Dio... deve pensare questo concetto in modo del tutto nuovo e cercare una nuova risposta all'antico interrogativo di Giobbe. Ove decidesse di farlo, dovrebbe anche lasciar cadere l'antica concezione di Dio signore della storia: perciò, quale Dio ha permesso che ciò accadesse?" (pag. 22-23)
"Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile... Ma se Dio può essere compreso solo in un certo modo e in un certo grado, allora la sua bontà (cui non possiamo rinunciare) non deve escludere l'esistenza del male; e il male c'è solo in quanto Dio non è onnipotente. Solo a questa condizione possiamo affermare che Dio è comprensibile e buono e che nonostante ciò nel mondo c'è il male. [...] Durante gli anni in cui si scatenò la furia di Auschwitz Dio restò muto... non intervenne, non perchè non lo volle, ma perchè non fu in condizione di farlo" (pag. 34-35)
Una voce cristiana: Jurgen Moltmann (1926): da Jurgen Moltmann, Il Dio Crocifisso. La croce di Cristo, fondamento e critica della teologia cristiana, Ed. Queriniana, Brescia 2002 (quinta edizione), pag. 326:
"Una <<teologia dopo Auschwitz>> può apparire impossibile o suonare blasfema a coloro che si accontentano del teismo o delle crede
nze della loro infanzia, o che hanno perso la fede. [...] Ma rimaniamo nel concreto e pensiamo ai martiri. A proposito di queste persone, di queste mute vittime, possiamo dire in senso realmente figurato che Dio stesso pende dalla forca. E se lo affermiamo con serietà, dovremo anche aggiungere che, come la croce di Cristo, così anche il lager di Auschwitz si trova in Dio stesso, è stato cioè assunto nel dolore del Padre, nella consegna del Figlio e nella forza dello Spirito. [...]
"Una <<teologia dopo Auschwitz>> può apparire impossibile o suonare blasfema a coloro che si accontentano del teismo o delle crede

Dio in Auschwitz e Auschwitz in Dio: è questo il fondamento di una sperianza reale, che abbraccia la realtà del mondo e su di essa trionfa, ed è anche la ragione di un amore che è più forte della morte"
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