Da S. Fausti, L'Idiozia. Debolezza di Dio e salvezza dell'uomo, Ed. Ancora, Milano 1999, pag. 14-15:
"Paolo parla di un Dio crocifisso, che è stupidità per i sapienti del mondo e debolezza per i pii di ogni religione (cf 1 Cor 1,23). Il paradosso del cristianesimo è non solo proporre un Dio stupido e debole, ma - doppio paradosso - pretendere che la sua stupidità convinca d'insipienza i sapienti e che la sua debolezza distrugga i potenti. Il pensiero stupido e debole è da sempre sua sapienza e forza!
Partendo dalla croce, il cristianesimo vuol dire qualcosa che salva insieme Dio e l'uomo, sua immagine. La 'parola della croce' rivela un assurdo al quale il nostro orecchio è sordo (ab-surdo), e che mai entrò in cuore d'uomo; ma è proprio quanto Dio nel suo amore ha preparato per noi (cf 1 Cor 2,9).
Come può un Dio crocifisso offrirci quella vita nuova che cerchiamo? Come può salvare il mondo dal nulla al quale l'ha destinato il sapere e il potere violento dell'uomo...? [...]
La croce è l'enigma con cui Dio risponde all'enigma dell'uomo. Un Dio crocifisso non corrisponde a nessuna concezione religiosa o atea. E' una rappresentazione 'oscena', fuori della scena del nostro immaginario: è <<la distanza infinita che Dio ha posto tra sè e l'idolo>>"
Da C. Duquoc, Gesù, uomo libero. Lineamenti di cristologia, Ed. Queriniana, Brescia 2007 (quarta edizione), pag. 117-118:
"Il perdono di Gesù libera dall'odio.
La parola perdono rischia di introdurre delle immagini che ne snaturano il significato e che limitano il gesto di Gesù. Con questo termine, infatti, non intendo nè la dimenticanza, nè l'indifferenza, nè l'ingenuità. Con la dimenticanza si chiudono gli occhi perchè non si può fare altrimenti e si vuole, soprattutto, stare in pace; la dimenticanza è un gesto di debolezza, il rifiuto dello scontro. L'indifferenza, a sua volta, è una fuga davanti alla realtà. Mancando di convinzioni, ciascuno fa ciò che vuole; in realtà essa significa che non esiste nessun legame concreto, quindi nessuna minaccia precisa. E nemmeno l'ingenuità, pronta a credere tutto e, conseguentemente, a tutto cancellare.
Il perdono è un gesto pieno di rischi, è il gesto dei forti: è presente dove qualcuno minaccia effettivamente un'altra esistenza... Non è nè la dimenticanza, nè l'indifferenza, nè l'ingenuità. E' un gesto di lucidità... il suo gesto ha come finalità di spezzare l'incantesimo del male, di far saltare la 'chiusura' su se stesso di chi fa il male, di rompere questo cerchio magico in cui nessuna comunicazione reale è possibile. [...] Il perdono è un gesto di libertà... Crea un'altra possibilità, quella della conversione. E' un appello a che il male non abbia l'ultima parola. Il perdono è un gesto creatore: se chi opera il male lo accetta, esso gli riapre in modo positivo le relazioni sociali."
NB. Per un approfondimento filosofico sul tema del "PERDONO" si veda P. Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare. L'enigma del passato, Ed. Il Mulino, Bologna 2004.
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